Le mascherate

Ancora oggi, le tre domeniche prima della Quaresima sono le giornate principali del Carnevale; da sempre, dedicate ciascuna a rappresentare una classe sociale: “i poveri”, “i contadini” e “i signori”. Tale struttura rispecchia le divisioni sociali che caratterizzavano la comunità sappadina.[

Si è già detto come, dal ricordo degli anziani, risulti che le mascherate fossero meno organizzate; in passato, più che di una vera e propria mascherata si trattava di gruppetti di persone, che, travestiti secondo il tema della giornata, andavano in giro per le borgate e visitavano le case mettendo in atto delle rappresentazioni, anch’esse in tono. Talvolta, qualcuno riusciva anche a farsi accompagnare da un suonatore.

Tutti ricordano con piacere come si cominciasse a pensare in anticipo al travestimento da sfoggiare e a cosa rappresentare. E poi, per molti il momento più atteso: la sera si andava a ballare nelle sale degli alberghi, dove alcuni musicisti suonavano. La fisarmonica era sempre presente, poi c’era la chitarra e il contrabbasso. Ai balli potevano partecipare anche persone non in maschera. In tanti ricordano il nome di Kòchlar, un musicista della borgata Granvilla che suonava molto bene la fisarmonica e che ha allietato tante serate. Si ballava il valzer, la polka, la mazurka. Bruniera riporta come balli caratteristici, anche se in disuso, la “furlana” e la “sarabanda”. “Sono sempre in auge e ballati con maestria la “furlana” e la “staira” …omissis…”. Anche le ragazze di sedici, diciotto anni andavano ai balli, chi con il permesso della famiglia, chi, rammentano ora le anziane signore con un’aria divertita, sgattaiolando da casa, non appena i vecchi erano andati a dormire. Si rientrava molto tardi, anche alle cinque del mattino.

Non risulta che a Sappada ci siano state lunghe interruzioni nelle celebrazioni del Carnevale, esclusi, ovviamente, i periodi relativi ai due conflitti mondiali. Sicuramente, però, ci sono stati periodi di maggiore o minore vitalità. Proprio per evitare che il Carnevale potesse perdere di importanza, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta è sorto spontaneamente il Comitato Carnevale, per iniziativa di un gruppo di appassionati sappadini.

Le mascherate erano itineranti. I partecipanti si radunavano a Cima Sappada, nel primo pomeriggio, e da lì partivano in corteo lungo la strada, scortate dai Rollatn, e, per un certo periodo, dal Pajaz, fino alla borgata Lerpa, la più lontana da Cima. Durante il percorso, di tanto in tanto, il corteo si fermava e le maschere davano vita a rappresentazioni legate allo stile di vita del ceto sociale che interpretavano. Qualcuno parlava con gli spettatori, altri entravano in gruppo nelle case e si intrattenevano con i proprietari.

Secondo una interessante testimonianza raccolta, una volta erano i Pajaz[ che partivano da Cima Sappada; a loro si univano poi i Rollatn e via via lungo il paese, le altre maschere uscivano di casa e si aggregavano anch’esse. Questo gruppo, che nel tempo sarebbe poi diventato la sfilata itinerante, veniva indicato con il termine sappadino kutte che significa mandria, perché il corteo di maschere ricordava una mandria al pascolo a cui si aggiungono mano a mano altri capi di bestiame.

Dopo la mascherata del 1995, per motivi pratici, soprattutto legati al problema del traffico sulla strada principale, si è deciso di abolire il corteo itinerante.

Ora c’è un luogo di raduno diverso per ogni domenica.

Non ci si dilungherà qui a descrivere nei minimi particolari queste mascherate ma si riporteranno solo le caratteristiche principali, utili per alcune riflessioni successive.

Pèttlar sunntach” è la “Domenica dei poveri”. Questa giornata è dedicata al ceto sociale più basso della comunità, coloro che non avevano mezzi di sussistenza e che, per sopravvivere, non mendicavano solamente ma si offrivano per qualche lavoro in cambio di cibo o di offerte.

I “poveri” si radunano in una piazzetta di Cima Sappada. Lì arrivano alla spicciolata le maschere, a gruppetti o da sole. Simulano situazioni di disagio e i loro abiti ne testimoniano lo stato di indigenza: sono consunti, rattoppati, o troppo grandi o troppo piccoli. Le lòrvn mostrano volti stanchi, segnati da profonde rughe e da difetti fisici, con la bocca storta e gli occhi irregolari. I “poveri” si esibiscono nei loro lavoretti; può capitare così di assistere a due donnine che lavano nella tinozza gli abiti o battono vecchi materassi, oppure all’uomo che aggiusta gli ombrelli o a quello che si offre di pulire le scarpe. Anche nelle case, i “poveri” entrano e si prodigano per riordinare, pulire, lavare e fare tutto ciò per cui potrebbero essere ripagati con del formaggio, della farina o dello speck.

Soprattutto i più anziani ricordano che in passato ci si ispirava a persone vere, di cui si copiava la gestualità e si riproduceva il volto nella maschera; poteva essere un sappadino oppure qualche mendicante che arrivava fino a Sappada dai paesi vicini.

Le maschere coinvolgono gli spettatori; alle volte spiegano il motivo della loro povertà, se ne lamentano e chiedono consiglio. Con i sappadini si instaura una complicità, favorita dalla lingua comune e dalla condivisione di esperienze e spesso vengono coinvolti nelle attività. Anche gli esterni alla comunità vengono interpellati ma con loro il rapporto è necessariamente diverso, più semplificato, si potrebbe dire.

Spesso questa giornata è stata la meno numerosa in termini di maschere partecipanti.

“Paurn sunntach” è la “Domenica dei contadini”, dedicata a quello che era il ceto sociale più numeroso della società sappadina ed è, in genere, la mascherata più affollata.

Attualmente, le maschere si ritrovano nella borgata Kratten, in uno spazio adatto per le rappresentazioni messe in atto dalle maschere. Gli abiti sono quelli da lavoro, di tutti i giorni; gli uomini hanno pantaloni pesanti e giacche, ai piedi hanno robusti scarponi o, qualcuno, gli zoccoli di legno. Le donne, non necessariamente vere donne, anzi molto spesso uomini, hanno lunghe gonne scure con sopra il grembiule da lavoro; in testa dei fazzoletti a fiori e talvolta calzano le scarpette di stoffa. Portano con sé attrezzi da lavoro: secchi, gerle, cesti con sementi o patate. Qualche volta è capitato che avessero il burro, offerto al pubblico per assaggiarlo; in realtà si trattava di neve, ben pressata nel tradizionale stampo di legno! Si esibiscono in scene di lavoro come la semina, la fienagione, la mungitura con il ricorso a finte mucche, impersonate da uomini, e lo sgabello per mungere. Ogni tanto compare anche il maiale, sempre finto. Oppure si piantano le patate con l’attrezzo tradizionale. Si è visto anche il carretto con il letame e vengono utilizzati altri piccoli carri. Anche i “contadini” interagiscono con il pubblico e lo fanno partecipare al proprio lavoro. Nel caso interpellino i turisti, le maschere mostrano e spiegano i giusti movimenti; se il lavoro è svolto bene, le maschere si congratulano; altrimenti fanno gesti di insofferenza e allontanano gli incapaci. Capita anche, però, che sia qualche anziano sappadino, presente nel pubblico, a mostrare in quale modo vada svolto l’antico mestiere.

Le lòrvn sono più paffute di quelle indossate la domenica precedente. Gli uomini hanno i volti coloriti dal sole, le donne hanno le guance tonde e rosse; sono visi segnati dalle rughe e dal duro lavoro contadino ma hanno tutti l’aria serena e gioiosa di chi, pur con fatica e sacrifici, riesce a garantirsi il necessario per sopravvivere.

Hearn sunntach”, “Domenica dei signori”, è l’ultima domenica di Carnevale ed è dedicata al ceto più agiato, che era al vertice della comunità locale.

Il luogo per la rappresentazione è questa volta nella borgata Granvilla. Le maschere arrivano a coppie, un uomo al braccio con una donna o a gruppetti Sono eleganti e signorili, anche nei movimenti. Per l’occasione vengono rispolverati gli abiti più belli e in buono stato, quelli della festa: gli uomini indossano giacche e pantaloni scuri, di buona fattura, scarpe di cuoio e cappello. Dal gilet può spuntare un prezioso orologio da taschino con la catena, un particolare che contraddistingueva l’abito da festa. Pare che questo ornamento fosse tipico delle famiglie che emigravano stagionalmente in Svizzera. Le donne hanno gonne scure guarnite da grembiuli di seta e lasciano vezzosamente intravedere le sottogonne con i pizzi; sopra le camicette bianche con il merletto indossano un corpetto con le maniche a sbuffo sopra i gomiti e un prezioso scialle di lana ricamato o stampato con le frange. In testa, hanno graziosi cappelli adornati da lunghi nastri, che scendono sulla schiena, o fiorellini. Spesso hanno anche delle piccole borsette in cui riporre il fazzoletto bianco ricamato e indossano gioielli antichi.

Si ricreano scene della vita signorile: le donne, riunite in tre o quattro, rievocano un pomeriggio trascorso a ricamare in compagnia, bevendo il caffè. Gli uomini giocano a carte o si intrattengono in qualche altra attività piacevole. Si sono viste sciatrici del passato con tanto di sci e slittini di vecchia fattura ed anche un anziano rocciatore.

Il pubblico è sempre chiamato a partecipare, ora aiutando ad infilare l’ago o a giocare a carte o a intervenire nelle altre numerose situazioni che vengono inventate ogni anno.

Spesso compare una coppia di sposi, ma non è, almeno ora, un elemento fisso della mascherata. Diverse sono le varianti proposte su questo tema: qualche volta è stata rappresentata la celebrazione delle antiche nozze con il sindaco. I travestimenti da figure religiose non sono in genere ben visti ma raccontano che si è avuto anche il finto prete che benediva la coppia. Anni or sono, è stata organizzata una troika, tirata da cavalli, con a bordo la coppia di sposi. Una volta, quando la mascherata era ancora itinerante, l’intero corteo rappresentava gli sposi, con la valigia pronta per il viaggio di nozze, la suocera e tutti gli invitati al seguito. [Di tanto in tanto, compare anche una bella carrozzina di vecchia foggia con un bebè, spesso un ragazzo, coperto da preziosi lenzuolini ricamati.

Le lòrvn da usare in questa occasione sono quelle dai lineamenti più regolari: quelle femminili hanno un colorito chiaro e i tratti delicati; le maschere degli uomini sono caratterizzate dai baffi molto curati.

Queste sono, in linea generale, le caratteristiche principali delle mascherate domenicali. Prima di fare alcune riflessioni bisogna ancora ricordare che in ognuna di queste giornate, oltre alle maschere comuni di cui si è detto, compaiono sempre alcuni Rollatn, figura di cui si parlerà ampiamente in seguito, che fanno il loro ingresso indipendentemente dagli altri partecipanti.

Da quando le mascherate si svolgono in un luogo fisso, c’è una presentatrice e un accompagnamento musicale. Inoltre, viene allestito un tavolo per i dolci tipici, come quelli di una volta, che il pubblico può assaggiare.

Dopo circa un’ora e mezza, le maschere si allontanano e si ritrovano in un locale dove è stata preparata una “merenda” solo per loro. La mascherata in piazza è così conclusa, la musica termina e l’annunciatrice dà l’appuntamento al pubblico per un’altra occasione.

Il primo dato su cui si possono fare alcune osservazioni è l’inevitabile trasformazione delle mascherate: da festa vissuta e condivisa all’interno della comunità è divenuta una festa anche per un pubblico estraneo, lontano per cultura e lingua, a cui vanno spiegate e semplificate le azioni del Carnevale a cui sta assistendo.

È stato sottolineato spesso il carattere di spettacolo, di messa in scena del Carnevale di Sappada.

Sempre, almeno fino a quando è possibile risalire con i ricordi degli informatori, le maschere, tramite i vestiti e le rappresentazioni messe in atto, hanno dato vita a parodie della vita locale. Si imitavano le persone nelle loro attività quotidiane, «Venivano mimati, insomma, tutti i movimenti della vita contadina: qualcuno faceva finta di tagliare i tronchi d’albero, qualcun altro di lavorare i campi piantando patate (e così via). In questo giorno venivano derise le persone più caratteristiche, quelle cioè che si distinguevano per un loro modo particolare di gesticolare o che usavano qualche tipica espressione per incitare i buoi o gesti strani per legarli durante le soste. Si trattava in ogni caso di persone molto conosciute.»]. Anche nelle visite alle case, le maschere si potevano rivolgere agli abitanti in modo pungente. Tutti conoscevano i fatti degli altri e quando le maschere andavano da questo o da quello sapevano benissimo quali argomenti affrontare per imbastire uno scherzo o quali oggetti andare a cercare nei cassetti per portare un po’ di scompiglio. Le scene che erano messe in pratica avevano il sapore dell’improvvisazione ma, in realtà, chi andava in maschera pensava in anticipo a chi colpire e a cosa fare. Certo, molto dipendeva dall’abilità del singolo, contava la sua capacità di cogliere il momento giusto per assestare la battuta adatta alla persona giusta e le sue doti di imitatore. Se lo scherzo fosse ben riuscito, se ne sarebbe parlato a lungo in paese.

Anche oggi, nelle mascherate domenicali si mettono in scena delle parodie della vita quotidiana ma qui, più che la presa in giro e lo sfottò di qualcuno, si coglie il senso di rievocazione della vita del passato; è una quotidianità che appartiene alla vita tradizionale, non a quella attuale[8]. Gli abiti sono quelli di una volta, conservati da chi ha sempre avuto un occhio di riguardo per il passato, così come gli attrezzi agricoli, i vecchi secchi di latta, gli oggetti per la mungitura o per il burro, i primi modelli di sci. Ma chi dà vita a questi personaggi non ha niente a che vedere con queste attività: sotto i vecchi abiti, si cela magari un geometra, un postino, un falegname, un insegnante di scuola, un maestro di sci o un impiegato, le attività che hanno sostituito, in gran parte, quelle tradizionali.

La decisione di riunire le mascherate in un posto fisso, decisione apprezzata da molti perché, spiegano, le maschere si possono vedere meglio di prima, ha aumentato ancora di più questo aspetto di presentazione: le maschere si mostrano e mettono in scena la loro rappresentazione. Anche il fatto che i Rollatn arrivino indipendentemente dagli altri partecipanti, non fa che enfatizzare il loro ingresso nello spazio scenico, annunciato dal suono delle rolln: tutti sono pronti ad accoglierli e ad ammirarli.

Chi si maschera, ancora oggi, deve avere delle buone doti di attore; a partire da un canovaccio, che ognuno si prepara o che è concordato con il proprio gruppo, bisogna poi essere in grado di adattare ciò che si è programmato al pubblico e saper scegliere di volta in volta qual è la battuta migliore per questo o quello spettatore. Ma il compito dei moderni letter è forse più difficile di una volta; non solo perché devono dimostrare padronanza con attrezzi o attività con cui la maggior parte di loro non ha più alcuna confidenza ma, soprattutto, perché è cambiato il rapporto tra le maschere e i non mascherati. Inoltre, una buona parte del pubblico è costituita da persone esterne alla comunità sappadina, di cui ignorano la lingua e la cultura tradizionale e pare che, alle volte, siano più interessate a farsi fotografare con le maschere che non a seguire lo svolgimento della festa.

È complesso e difficile il rapporto tra il Carnevale tradizionale e un pubblico formato da persone estranee alla comunità; è un problema con cui molte realtà locali hanno dovuto confrontarsi e trovare una soluzione.

A Sappada, affermata località turistica da tempo, gran parte dell’economia dipende, ora, proprio dall’afflusso dei turisti; molti abitanti pensano che sarebbe sciocco, da parte loro, ignorarne la presenza, numerosissima in particolar modo nel periodo di Carnevale che coincide con il momento clou delle settimane bianche, e non coinvolgerli nelle celebrazioni festive.

Così, si è giunti a una mediazione, rendendo il proprio rituale un po’ più comprensibile. Possiamo interpretare in tal senso la figura della presentatrice che intrattiene gli spettatori, illustra le azioni delle maschere e dà spiegazioni sul Carnevale locale. Chiaramente, tutto ciò è frutto dei tempi moderni e non era minimamente pensabile quando la festa rimaneva all’interno della comunità sappadina. La presenza dei musicisti e la possibilità di gustare i dolci locali creano l’atmosfera di una festa popolare in piazza, a cui tutti possono partecipare e condividere il cibo e il ballo.

A far sentire ancora più partecipe tutto il pubblico, contribuisce anche il concorso Schnitzar Bette, istituito nel 1998, in cui gli spettatori sono chiamati a votare la maschera più bella, tra quelle intagliate dagli scultori locali ed esposte durante le tre domeniche.

Non tutte le trasformazioni che si sono verificate, da un po’ di tempo a questa parte, sono imputabili alla presenza dei turisti.

Le maschere, una volta, erano molto più cattive e prepotenti, e non solo i Rollatn. Tempo fa, un’anziana signora ricordava spesso che le maschere andavano sempre nella casa della sua famiglia e che, senza che il padre potesse fare nulla, mangiavano gran parte dei salami che erano nella dispensa; raccontava anche di come il padre riuscì, in una occasione successiva, a vendicarsi delle maschere in un modo molto originale!

Alle maschere non ci si poteva opporre. «La maschera si comportava da padrona: girava dove voleva, apriva i cassetti…omissis…mentre il vero padrone di casa guardava divertito. Egli doveva restare al gioco, frenando a stento la curiosità quasi morbosa di indovinare chi fosse il visitatore»].

Tutti, partecipi della stessa cultura, sapevano che a Carnevale il comportamento delle maschere era trasgressivo; a loro erano consentite delle libertà e una prepotenza che poteva talvolta sfociare in una forma di violenza, che, in qualunque altro momento, sarebbe stata severamente punita. Si sapeva che ciò aveva un significato oppure si accettava perché faceva parte delle consuetudini tramandate dagli avi. «…omissis… ma allora come potrei spiegare i lazzi spesso oltraggiosi, i discorsi buffoneschi non di rado offensivi le intemperanze, le sfrontatezze cui i mascherati si abbandonavano per le strade e nelle osterie? …omissis… E non ho mai sentito che una persona offesa abbia sporto querela o si sia doluto in altra maniera della cattiveria patita.»].

Anche il fatto che, mascherati, ci si potesse rifare di qualche torto subito rientra in una concezione del Carnevale tradizionale troppo violenta per essere approvata, oggi.

Ugualmente, atterrire i bambini faceva parte di una mentalità molto diversa da quella attuale; nessuno si sogna più di fare del male o spaventare in modo eccessivo né gli adulti né, tanto meno, i bambini. E non solo perché la presenza dei bambini è ora accettata nelle mascherate, un po’ come è avvenuto nella maggior parte dei Carnevali tradizionali, segno questo di un grande cambiamento nel significato del Carnevale. Il fatto è che è cambiata la mentalità delle persone e ciò che prima era fondamentale nel rituale ora non è più accettato perché, perso il significato simbolico che aveva in precedenza, se ne coglie solo l’aspetto negativo.

Paradossalmente, adesso, il timore è il sentimento di chi va in maschera, che è sempre molto attento a non avere atteggiamenti troppo violenti; tanti dicono: ”Sono mica matto, quelli poi chiamano il Telefono Azzurro!”.

Quindi, le maschere hanno perso parte della violenza che le caratterizzava non solo perché gli estranei alla comunità non l’avrebbero potuta comprendere ma, anche, perché agli stessi abitanti ha cominciato a sembrare gratuita, non adatta ad una festa gioiosa e divertente come è considerato ora il Carnevale.

Tanti sappadini non accettano che le maschere entrino nelle case, un po’ perché sono cambiate le abitazioni e perché le maschere sono troppo rumorose e, in fondo in fondo, non si sa mai che cosa possa combinare un lotter!

Rimangono numerosi, però, coloro che considerano la visita come un omaggio e una forma di cortesia nei loro confronti da parte delle maschere. Ci sono alcune famiglie dove le maschere vanno sempre molto volentieri, non solo perché sono accolte con piacere e rifocillate ma, soprattutto, perché hanno gli stessi sentimenti nei confronti del proprio Carnevale; si tratta spesso di case di persone che in passato sono andate in maschera e che ora, per l’età, non si sentono più di partecipare in prima persona. Danno tuttavia il loro contributo aiutando gli altri a mascherarsi, prestando il necessario e dando consigli ai più giovani su come comportarsi, una volta che si è entrati nei panni di un sappadino d’altri tempi.

È il caso ora di soffermarsi su un aspetto del Carnevale sappadino che potrebbe dare lo spunto per diverse interpretazioni.

Si tratta dell’esecuzione di alcuni lavori agricoli che venivano e che ancora oggi vengono rappresentati durante il Carnevale, in un periodo climaticamente non adatto, quando i campi sono ancora coperti dalla neve e dal ghiaccio. È noto che nelle mascherate invernali presenti in una vasta area europea è molto diffuso, e lo era ancora di più in passato, il tema della ”aratura rituale”, accompagnata talora da una altrettanto rituale semina. A Sappada, non sono ripetute sempre le stesse attività. Si tratta, per il periodo documentato dalle fonti, di rappresentazioni in chiave grottesca e canzonatoria, funzionali, in passato, ad una parodia della vita quotidiana e, adesso, ad una rievocazione fondamentalmente realistica, pur se in tono divertente, della vita tradizionale. Se nella mascherata dei “contadini” apparisse l’aratro non sarebbe necessariamente da ricondurre al tema della ”aratura rituale”.

Piuttosto, in qualche attività svolta in modo poco brillante, si possono cogliere echi di quel “mondo alla rovescia” che caratterizza tanti Carnevali.

Si potrebbe pensare, da quanto detto sinora, che il Carnevale a Sappada sia una festa ridotta ad una semplice ricostruzione storica, fatta ad uso del turista e ormai priva di legami con la società locale.

Non è così. Ha subito molti cambiamenti nel corso del tempo, ne sono stati segnalati alcuni; ma è proprio una caratteristica di molte feste tradizionali, in particolar modo del Carnevale, la capacità di modificarsi e adeguarsi a nuove esigenze. Anche a Sappada, così come altrove, il rito carnevalesco è divenuto un elemento di identificazione culturale; è una testimonianza della propria storia ed è un modo per condividerla assieme ai sappadini e per mostrare agli altri la propria tradizione. Ancora oggi, nei confronti del Carnevale, i sappadini si dividono tra chi, per gusto personale o per mancanza di tradizione all’interno della famiglia, è praticamente indifferente e coloro che, invece, ne sono appassionati. Per questi ultimi, andare in maschera non è un dovere da assolvere o un obbligo verso qualcuno. Pur lamentando ogni tanto la fatica che si prova a svolgere tutte le mascherate e anche se il Carnevale non rappresenta più l’unico momento di svago, rimane, in ogni caso, un’occasione per un divertimento particolare, diverso dal solito.

Tanti, soprattutto i più anziani che hanno vissuto la giovinezza in un clima culturale ed economico ben diverso dall’attuale, ripetono spesso: “Oggi è sempre Carnevale”, per sottolineare che non è più necessario attendere quel determinato periodo dell’anno per potersi divertire e prendersi una pausa dalle fatiche del lavoro. Anzi, con la trasformazione dell’economia il periodo carnevalesco è, oggigiorno, un momento in cui non ci si può assolutamente distrarre dal lavoro e assentarsi per partecipare al Carnevale. Tanti però, pur se impegnati nell’attività turistica, trovano il modo di uscire in maschera. Non interessa più tanto il ballo, svago ormai frequentissimo, ma proprio il potersi mascherare, assumere un’altra identità per organizzare le commedie e gli scherzi e poi, per molti, il piacere e anche l’orgoglio di portare avanti una tradizione, pur se adeguata ai tempi moderni, tramandata dagli avi.

Una prova di questo si ha quando si conclude la mascherata in piazza. Ad un occhio poco attento, potrebbe sembrare che, quando le maschere si ritirano tutte assieme a fare la “merenda” nel locale dove è stata organizzata, il Carnevale sia finito lì. In realtà, è terminata la parte che potremmo definire “pubblica”, aperta a tutti. Ma da quel momento in poi, si apre il Carnevale “privato”, fatto di visite ad amici e conoscenti, dove esplode tutto lo spirito carnevalesco dei sappadini. Qui, anche se si è vestiti all’antica, si punzecchiano le persone con riferimenti agli avvenimenti privati recenti; e, come si faceva in passato, si sa da chi andare e soprattutto cosa dire per colpire la propria vittima. I bravi padroni di casa assecondano le maschere e stanno al gioco, cercando sempre di individuare chi si nasconde sotto quei panni; un gioco che non ha assolutamente perso di importanza in questi tempi.

Ancora oggi, l’anonimato è importante per tanti di coloro che vanno in maschera.

Con il tempo però molto è cambiato e non solo a Sappada. Ovviamente, i motivi per rimanere in incognito non sono più quelli di una volta, neanche il potersi rifare di torti subiti e comportarsi in modo più disinibito. Oggi, più che altro, è considerato un vanto personale del lotter non farsi scoprire, perciò, ancora tanti prestano grande attenzione a sollevare il minimo possibile la lòrve quando si mangia o si beve, coprono con cura ogni parte del corpo e parlano in falsetto. Anche qui, però, come in altri Carnevali dove in passato l’anonimato era una regola rigidissima, ora qualcuno non ne tiene conto più di tanto e, pur tra le critiche dei “puristi”, può capitare di vedere alcuni che, o per la stanchezza di tenere la lòrve sul viso a lungo o perché desiderano essere riconosciuti come gli autori del mascheramento, verso la fine della giornata si scoprono il volto.

Comunque, togliere la lòrve a qualcuno contro la sua volontà può ancora provocare una reazione violenta. Tutti, a Sappada, sanno che questa è una cosa che non si deve fare.

I temi dei mascheramenti delle tre domeniche, si è visto, si riferiscono alla vita e alle attività economiche tradizionali. Pur con la grande varietà di argomenti che possono essere rappresentati, però, la scelta è ristretta ad un ambito ben preciso ed anche i comportamenti delle maschere sono nel complesso codificati. Tutti sanno cosa aspettarsi: i personaggi sono quelli dei ceti sociali rappresentati e anche se non si sa quale azione proporranno, ci si aspetta che il loro comportamento corrisponda alla tradizione.

Talvolta, tuttavia, può capitare che appaiano delle figure inattese. È successo così nella mascherata dei “contadini” del 1995. Un poco distaccati dal gruppo delle maschere che sfilavano, ricordiamo che allora la mascherata era ancora itinerante, procedevano due figure particolari. Erano vestiti con un ampio mantello scuro con il cappuccio e i piedi erano coperti da rami di abete; il volto era nascosto da una maschera ricavata dalla corteccia di larice, con parti in pelo per formare le sopracciglia e la barba. Erano due Schroatn; il nome non era stato inventato per questa occasione ma, nella tradizione locale, indica lo spauracchio dei bambini.[11] Con la schiena curva, poggiati ad un lungo bastone, con un’andatura scomposta e un atteggiamento a tratti aggressivo verso il pubblico, sono rimasti sempre un po’ ai margini del corteo.

I tratti estetici ed anche il comportamento di questa maschera sembrano presentare molti tratti arcaici; rimandano quasi alla figura dell’Uomo Selvatico, così diffusa nella tradizione popolare anche in località non troppo distanti da Sappada; e poi, che dire di quel nome che rimanda agli spiriti delle credenze popolari?

In realtà, si trattava dell’idea di una persona, sempre molto attiva nel Carnevale, che ha voluto proporre qualcosa di diverso per rinnovare e vivacizzare la mascherata. È questo un esempio significativo del rischio che si può correre alle volte, quando, senza una corretta analisi e in mancanza di documentazione, si attribuisce un carattere arcaico ad un aspetto del Carnevale che in realtà non lo è.